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Aggiornamento in Medicina
La terapia con statine ha ridotto significativamente il rischio di malattie cardiovascolari nei pazienti con rischio cardiovascolare intermedio.
In particolare, la terapia con statine è risultata associata a una diminuzione significativa in un endpoint cardiovascolare composito costituito da morte correlata alla malattia cardiovascolare, ictus non-fatale, infarto miocardico non-fatale.
Non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nella mortalità per tutte le cause.
E’ noto che la terapia con statine nelle persone con livelli elevati di colesterolo riduce il rischio di eventi cardiovascolari, anche in coloro che non hanno evidenza di malattia cardiovascolare.
Questi studi sono stati condotti all'interno di una popolazione caucasica relativamente omogenea e tutti i partecipanti avevano elevati livelli di lipidi.
Non è chiaro se i benefici delle statine riguardino anche individui etnicamente diversi con rischio intermedio di malattia cardiovascolare, ma senza malattia cardiovascolare esistente.
Lo studio aveva come obeittivo quello di determinare l'efficacia delle statine per la prevenzione primaria della malattia cardiovascolare nei soggetti a rischio cardiovascolare intermedio.
Il trattamento con Rosuvastatina ( Crestor ) ha comportato una diminuzione del 25% del rischio di eventi cardiovascolari ( morte cardiovascolare, ictus non-fatale, e infarto miocardico non-fatale ) rispetto al placebo nei soggetti etnicamente diversi, popolazione a rischio intermedio, senza preesistente malattia cardiovascolare.
Non è stata riscontrata alcuna diminuzione significativa della mortalità per qualsiasi causa.
I sintomi muscolari hanno avuto una più alta incidenza nel gruppo statina.
Lo studio HOPE-3 ( Heart Outcomes Prevention Evaluation ) era uno studio multicentrico, internazionale, in doppio cieco, randomizzato, controllato con placebo, condotto in 228 Centri in 21 Paesi.
Questo studio aveva un disegno fattoriale 2 x 2, e ha studiato l'effetto della Rosuvastatina 10 mg al giorno, Candesartan 16 mg associato a Idroclorotiazide 12.5 mg al giorno o una combinazione di queste terapie sul rischio di malattia cardiovascolare nei soggetti con rischio cardiovascolare intermedio.
Questo particolare studio si è concentrato sulla terapia con statine. Uomini e donne con un fattore di rischio cardiovascolare ( uno tra: elevato rapporto vita-fianchi, storia di bassi livelli di HDL, uso di tabacco, disglicemia, storia familiare di malattia coronarica precoce o disfunzione renale lieve ) sono stati inclusi nello studio.
Tutti i partecipanti ammissibili sono stati sottoposti a 4 settimane di fase run-in per garantire la tollerabilità e l'aderenza dei farmaci.
I pazienti sono stati randomizzati a uno di quattro gruppi: solo Candesartan associato a Idroclorotiazide, Candesartan / Idroclorotiazide più Rosuvastatina 10 mg, solo Rosuvastatina oppure solo placebo.
I pazienti sono stati seguiti per gli esiti co-primari: a) composito di morte per cause cardiovascolari, ictus non-fatale o infarto miocardico non-fatale; b) il composito precedente più arresto cardiaco resuscitato, insufficienza cardiaca e rivascolarizzazione.
L’endpoint secondario era rappresentato da mortalità per qualsiasi causa.
L'analisi statistica è stata effettuata su una popolazione intention-to-treat con i modelli a rischi proporzionali di Cox.
Nel periodo 2007-2010, 12.705 partecipanti sono stati assegnati in modo casuale a diversi gruppi di trattamento.
Il follow-up è stato di 5.6 anni.
C'è stata una diminuzione del 26.5% in media dei livelli di colesterolo LDL nel gruppo Rosuvastatina rispetto al placebo.
Il primo endpoint co-primario è risultato significativamente inferiore nel gruppo Rosuvastatina ( 3.7% vs 4.8%; hazard ratio, HR=0.76; 95% [ IC ] 0.64-0.91 ).
C'è stata una diminuzione significativa nel secondo endpoint co-primario nel gruppo Rosuvastatina: 4.4% vs 5.7%, HR=0.75; 95% [ IC ] 0.64-0.88, p inferiore a 0.001.
È stato osservato un aumento significativo dei sintomi muscolari nel gruppo statina ( 5.8% vs 4.7%; p=0.005 ). ( Xagena2016 )
Fonte: The New England Journal of Medicine, 2016
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